Il mistero della lapide tra le due fonti. In ricordo di Libero Campodonico.


Ci sono storie che letteralmente vivono attorno a noi e ci circondano, ma è come se fossero quiescenti, sonnacchiose in un letargico oblio alle volte lungo decenni se non secoli, perfettamente mimetizzate nelle pieghe della vita di tutti i giorni e quindi invisibili ad un occhio non allenato. Ci sono storie che non sono storie, almeno fino a quando non arriva qualcuno che si mette in testa di raccontarle. Ma affinché questo accada, occorre sempre un innesco, qualcosa che dia il là alla narrazione (un trigger, direbbero gli inglesi), che il più delle volte si ottiene con un miscuglio assolutamente casuale, e per questo irripetibile, di situazioni particolari e persone altrettanto particolari, il tutto magari tenuto insieme da una discreta dose di curiosità.

Questa piccola storia, di inneschi ne ha avuti tanti. L’ultimo, decisivo, è purtroppo triste e drammatico ed è di appena pochi giorni. Ma il primo, di ben altra natura, risale a quasi dieci anni fa. Siamo nell’agosto del 2015 e a quel tempo questo blog (che aveva visto la luce nel dicembre del 2012) già languiva in una sorta di inattività forzata, derivante dal fatto che dall’estate del 2014 l’amministrazione comunale serrana appena entrata in carica negò, con svariati comportamenti omissivi (per non dire altro e voler restare eleganti), il legittimo accesso all’Archivio Storico per effettuare ricerche tra le vecchie carte del paese (qui si raccontano i fatti di quel periodo, per chi ha voglia di ricordare). Ad ogni modo il blog, a poco più di due anni dalla sua nascita, aveva già al suo interno ben 54 articoli (a cui ne sarebbero seguiti purtroppo solo altri 6, fino a novembre del 2019) e suscitava un discreto interesse tra i tanti che, intenzionalmente o per caso, finivano tra queste pagine. E uno di questi lettori fu Bruna (che poi, nel giro di poco, divenne per me “la maestra Bruna”, originaria dell’entroterra riminese ma ritrovatasi qui a Serra San Quirico agli inizi del suo percorso di maestra di scuola elementare nei lontani anni 70, e anch’essa grande appassionata di piccole storie), la quale, appunto ad agosto del 2015, scrisse questo commento, creando involontariamente il là ad una serie di eventi e situazioni a cui oggi, finalmente, ho deciso di dare accoglienza tra queste pagine.

Ho appena “scoperto” questo blog meraviglioso e ho letto alcuni articoli che mi hanno incantato (quello sulla neviera per esempio) e mi riprometto appena possibile di godermelo tutto. L’incontro è dovuto al fatto che, per un mio articolo su un blog che scrivo, cerco l’autore dei versi in latino che compaiono su una epigrafe murata sulla casa che sta fra l’accesso a Fonte Corona e quello a Fontenova. Per capirci quello che dice:

Hunc veni dulcem bibiturus undam

hunc veni puramfruiturus ariam

aestivos fugiens calores

otia quaero

Sono sicura che non posso chiedere a nessuno meglio di lei la risposta. Comunque mi sono iscritta e spero di leggere ancora e ancora storie belle e scritte con serietà e leggerezza insieme come quelle che già ho letto.

Cordialmente, Bruna Stefanini

La lapide “misteriosa”…

Beh, inutile dire che mi attivai subito e, già il giorno successivo, condivisi quello che ero riuscito a scovare.

Ciao Bruna! Ovviamente, grazie mille per i complimenti.
Vengo subito alla sua domanda.
Non le nascondo che l’epigrafe in questione, avendomi dato ad una prima occhiata l’impressione di essere una riproduzione relativamente moderna, non aveva mai generato in me un livello di curiosità sufficiente per farmi partire con ricerche approfondite.
Oggi, la sua domanda – lo confesso – ha aggiunto un po’ di pepe alla questione.
Il problema è che per poter recuperare degli elementi utili avrei bisogno di un po’ di tempo. Ma provo comunque a dare il via alla cosa, poi magari si vedrà… una cosa tira l’altra e, nel frattempo, chissà, verrà fuori quel tempo che ora non ho.

L’unico riferimento bibliografico che ho trovato (stando seduto alla mia sedia, ben inteso) è una copia digitalizzata del numero di agosto 1911 dell’American Ecclesiastical Review, pubblicazione destinata agli studenti di teologia cattolica stampata a Philadelphia per i tipi della Dolphin Press, ora disponibile presso la biblioteca dell’Università di Toronto.

Tra queste pagine, il padre redentorista francese Francesco Saverio Reuss, di stanza a Roma, riporta in poche righe una “Invitatio ad Aquas Salutares apud Nuceriam Umbrorum”, ovvero un invito alle fonti salutari nei pressi di Nocera Umbra, scrivendo in una nota a pie’ pagina che “haec invitatio inscripta est in porticu memoratae stationis balneariae”, ossia che tale invito si trova proprio sul portale, presumibilmente d’ingresso, delle terme di Nocera. Con tutta probabilità si fa riferimento alla Sorgente Angelica in località Bagni di Nocera, conosciuta fin dai primi anni del ‘500 per le proprietà curative della sua sorgente, denominata anche “Acqua Bianca” o “Acqua Santa” e sede, appunto, fin dal XVII secolo, di un prestigioso stabilimento termale di proprietà dello Stato Pontificio.

All’interno della rivista, il testo risultava firmato da Padre Reuss e, tra l’altro, seguiva tre inni in latino (sempre opere dello stesso) dedicati al pontefice. Dopo alcune indagini biografiche, Francesco Saverio Reuss risultò essere stato latinista di notevole spessore e autore di numerose opere latine in versi (elogiate pubblicamente da Leone XIII e Benedetto XV). Nato nel 1842 in un piccolo paesino dell’Alsazia, nel 1868 da giovane sacerdote fu chiamato a Roma, dove, per molti anni, fu segretario del Rettore della Congregazione dei Redentoristi. Quindi è fondato credere che sia lui l’autore dell’epigrafe in questione.

La prima cosa però che saltò all’occhio e che in quel momento dovetti mettere da parte è che il testo riportato da Padre Reuss era leggermente diverso da quello presente sulla lapide serrana (e riportato dalla maestra Bruna), di fatto un invito a beneficiare delle proprietà curative delle terme nocerine.

Huc veni, dulcem bibiturus undam;

huc veni, pura fruiturus aura

quisquis, aestivos fugiens calores,

otia quaeris.

Una traduzione ragionevole del testo poteva essere la seguente:

Vieni qua a bere la dolce acqua,

vieni qua a godere dell’aria pura,

tu che, fuggendo la calura estiva,

cerchi il riposo.

La versione “serrana”, invece, sembrava essere stata adattata in modo che, seppur con alcune inesattezze, suonasse più come un discorso in prima persona:

Son venuto qua a bere la dolce acqua,

son venuto qua a godere dell’aria pura,

fuggendo la calura estiva,

cerco il riposo.

Ma quell’iscrizione esisteva ancora lì a Nocera? Pur non avendo condotto ricerche “sul campo”, azzardando un’ipotesi decisi per il no: alla fine dell’800, dopo diversi passaggi di proprietà, la sorgente fu venduta all’industriale Felice Bisleri (quello del Ferrochina) il quale investì tutto sul business delle acque minerali (e ne fu a tutti gli effetti un vero e proprio pioniere); le terme andarono allora sempre più decadendo, gli edifici del complesso si degradarono profondamente nel corso dei decenni e passarono per diversi cambi d’uso, fino a che non arrivò il terremoto del 1997, in seguito al quale, dopo un importante intervento di restauro, si creò un albergo di lusso.

Ma il cerchio di questa vicenda, per quanto mi riguardava, non poteva considerarsi ancora chiuso, anche perché il puzzle fatto di persone e casualità non era ancora sufficientemente completo per permettermi di raccontare a dovere questa storia. D’altro canto, restava ancora senza risposta la domanda forse più importante: ma come c’era finita quell’epigrafe, seppur adattata, qui a Serra San Quirico?

Dopo qualche tempo e dopo la maestra Bruna, ci pensò un’altra persona, anch’essa appassionata di storie e, nello specifico, di storie di Serra San Quirico, a darmi involontariamente un’altra utile spintarella: Gilberto Gennaretti. Purtroppo Gilberto è venuto a mancare i primi giorni di giugno del 2023 e penso di poter dire che il paese da quel giorno ha perso forse uno dei suoi più grandi innamorati, nell’accezione più pura del termine. Gilberto era andato via da Serra per trasferirsi a Roma ch’era ancora un bambino, ma ovviamente (come tanti emigrati come lui) non mancava occasione di tornare ogni volta che gli era possibile. La sua scrittura sui social era sempre a modo, ironica e appassionata e la sua mente arguta e brillante; sempre disponibile a condividere con tutti i suoi ricordi personali, le sue memorie di un paese che – e lui lo sapeva – non era più quello della sua fanciullezza, ma che continuava ad avere un posto d’onore nel suo cuore, come accade con tutti i veri grandi amori.

Gilberto una volta – in uno dei suoi tanti entusiastici commenti ai post di questo blog, di cui è stato forse uno tra i più accaniti lettori – raccontò che lui era nato il 22 luglio del 1944, esattamente il giorno dopo la liberazione di Serra San Quirico. Fu il primo maschio a vedere la luce nella Serra liberata (il primo vestitino venne regalato alla madre proprio da un soldato inglese) e per questo gli venne dato Libero come secondo nome, fortemente voluto da suo zio Settimio, allora giovanissimo partigiano. “Mio padre spesso mi raccontava delle riunioni antifasciste e partigiane a cui partecipava anche a casa dell’avvocato Campodonico, il cui figlio si chiama anch’esso Libero”, mi scrisse. “Sai, noi due ci conosciamo benissimo… quando viene lì a Serra sta in quella casettina tra Fontenova e Fontecorona, accanto al Parco delle Rimembranze”.

Beh, a quel punto mi mancava solo trovare Libero Campodonico e sperare che sapesse aiutarmi dandomi qualche informazione in più su quella lapide.

I quattro protagonisti di questa storia:
la maestra Bruna (in alto a sx), l’autore dell’epigrafe latina Padre Reuss (in basso a sx),
Gilberto Gennaretti (in alto a dx) e Libero Campodonico (in basso a dx).

E, ovviamente, è quello che feci. Era l’inizio della scorsa estate e, durante una delle mie solite passeggiate, risalendo da Piedaspri verso il centro storico, lo vidi giusto fuori dalla sua casetta mentre trafficava in un giardino oltremodo rigoglioso: capelli bianchi, fisico minuto e sguardo profondo, quasi cinematografico, sigaretta accesa che penzolava da un angolo della bocca.  “Sì, sì… lo so chi sei”, mi disse con un sorriso sghembo. “Quando vuoi, vieni a trovarmi senza problemi”.

La casetta di Libero Campodonico, all’ingresso del paese. Sulla facciata, ben visibile, la lapide con l’epigrafe latina.

E fu così che la mattina di sabato 8 luglio mi ritrovai nella fresca penombra del piccolo cucinino di quella casetta incastonata nel verde delle due fonti a parlare con Libero e la sua sigaretta, occhi vispi e attenti, ma socchiusi in poco più di una fessura a causa del fumo che saliva in lente e stanche volute. Mi offrì di bere qualcosa e, dal tono, capì che non era il caso di fare i complimenti. Seduti attorno al tavolo con un bicchiere di Campari, come un fiume in piena cominciò a raccontare.

Il padre di Libero – quell’avvocato Campodonico a cui si riferiva Gilberto Gennaretti – si chiamava Teodorico ed era nato nel lontano 1878 in quel di Filottrano, in una famiglia di agiati borghesi proprietaria di un emporio nella piazza principale del paese (la madre, tra l’altro, era una Bocci originaria di Serra San Quirico). Tutti e sei i figli (tre maschi e tre femmine) ebbero modo di studiare e di farsi una cultura. Dei tre maschi, oltre a Teodorico, ci furono Chicco, a cui venne lasciata in eredità l’attività di famiglia, e Aldemiro, che divenne anch’esso avvocato (studiando a Bologna) per poi trasferirsi a Firenze dove partecipò alla vita pubblica e politica della città; fu professore universitario (a Pisa), nonché giornalista e intellettuale militante del Partito Liberale.

Il “nostro” Teodorico invece si trasferì a Roma, dove esercitò la professione forense e tirò su famiglia. Avvocato molto noto nella capitale, svolse anche il ruolo di Presidente dell’Assemblea della Società di Mutuo Soccorso dei Marchigiani di Roma. Nei primi anni del 900 arrivarono due figli, Vera (che poi sposerà un affermato chirurgo capitolino) e Libero, giovane studente di giurisprudenza e valido atleta dedito al canottaggio.

Ma tutto purtroppo cambiò con l’avvento del regime. Teodorico fu in aperto contrasto con i fascisti fin da subito e la sua non certo celata contrarietà al regime gli porterà presto gravi ritorsioni, visto che diverse volte il suo studio di avvocato verrà messo a ferro e fuoco dagli squadristi. Ma il punto di non ritorno arrivò nel 1927. Il giovane Libero si trovava sul lago di Albano con un compagno per i soliti allenamenti, quando di lui si persero le tracce. Il corpo non venne più ritrovato e la versione ufficiale parlò di annegamento. Il suo compagno, stranamente, ritornò incolume a riva pur non sapendo nuotare, al contrario di Libero che era invece un provetto nuotatore. Teodorico non si diede mai per vinto. Ingaggiò, con notevole dispendio di risorse, perfino dei palombari per effettuare delle ricerche nel lago, ma non ci fu nulla da fare. Niente e nessuno gli tolse dalla testa che quel figlio glielo avevano ammazzato i fascisti.

Trafiletto presente su Il Messaggero del 3 maggio 1927

Tutto da quel momento cambiò. Teodorico decise di trasferirsi nella piccola Serra San Quirico (avendo ereditato alcune piccole proprietà da lontani parenti) e qui continuò ad esercitare per molti anni ancora la professione di avvocato. Ma la storia, ovviamente, lo scovò anche se nascosto tra i monti dell’appennino marchigiano. Perché, in fondo, non si può andare contro la propria natura. Fu forse per questo che l’avvocato Campodonico non si tirò indietro quando si rese necessario tirare le fila e supportare il movimento di resistenza, insieme ad altri esponenti della intellighenzia serrana democratica di quegli anni, dal notaio Gaspare Martorana al pievano Don Armando Cruciani, ospitando sovente presso la sua abitazione pericolosissime riunioni, in barba agli occupanti nazisti. “Verremo a fucilarla”, gli disse un soldato tedesco alla fine di una delle periodiche retate alla ricerca di partigiani e armi. Ma la minaccia, fortunatamente, non ebbe mai un seguito.

La prima casa serrana dell’avvocato Teodorico Campodonico (ben visibili le iniziali sull’arcata di ingresso)

E Teodorico Campodonico, che era claudicante a causa di una gamba che gli aveva dato seri problemi, da Serra San Quirico non scappò neanche in seguito all’uccisione dei soldati tedeschi in ritirata che provocò il panico generale tra tutti gli abitanti del paese, terrorizzati da una ritorsione dei nazisti. Rimasero lui e il calzolaio Nazzareno “Cannucci” Serini, noto anarchico. Ma anche qui, la buona sorte ebbe la meglio.

Nel frattempo la prima moglie morì e Campodonico si risposò con una serrana di umili origini, molto più giovane di lui. Da queste seconde nozze, nel 1945, nacque il nostro Libero, in memoria del fratello tragicamente scomparso diciotto anni prima.

Libero, mentre cerca di integrare con alcune immagini il suo racconto…
Teodorico Campodonico, la sua seconda moglie e il piccolo Libero

Ma Teodorico era uomo a dir poco eclettico (pare che in casa avesse una cornacchia ammaestrata) e fu per questo che talvolta si ritrovò alle prese con avventure imprenditoriali, i cui esiti – stando ai racconti del figlio Libero – non furono mai particolarmente eccelsi. Come quando, negli anni a cavallo tra Roma e Serra San Quirico, decise di rilevare in società… le terme di Nocera Umbra!

Qualche anno prima della sua morte (nel 1960), attorno al 1955 (quando Libero era un ragazzino di 10 anni), Teodorico decise di recarsi in giornata a Nocera Umbra. La proprietà delle terme (che ovviamente non aveva dato i frutti sperati) era stata già ceduta molto tempo addietro, ma lui era ancora titolare di un piccolo terreno lì in zona. Ci andò in “tassì” da Serra San Quirico. Al posto delle terme, si ritrovò però di fronte un convento di suore. Allora, prima di tornare a casa, decise di fare visita ad un prete suo vecchio amico in una chiesa poco fuori dal centro abitato. Fu quel prete che consegnò a Teodorico l’iscrizione latina presente all’epoca all’ingresso delle terme, riportata su un piccolo foglietto di carta. Tornato a Serra, l’avv. Campodonico decise allora di trasformare quel ricordo in qualcosa di più concreto e commissionò al marmista serrano Anastasio Roeti la realizzazione della lapide che ancora oggi vediamo sulla facciata della piccola casa tra le due fonti.

Mistero quindi svelato?

Non del tutto. Perché, avvicinandovi alla lapide, soprattutto se dotati di buona vista e magari aiutati dalla luce del sole, scoprirete che sull’ultima riga vi è una sorta di “ombra”, come di una traccia lasciata da due parole presenti prima della chiusura “OTIA QUAERO”, poi rimosse (sebbene sia presente ancora un piccolo frammento). Ed è piuttosto evidente che le due parole scomparse fossero “VINUM ET”.

Un particolare della lapide, elaborato per far “emergere” le ombre delle parole rimosse…

Sembra quindi che l’iscrizione originale presente nelle terme nocerine, arrivata qui a Serra, sia stata in qualche modo ampliata, facendo diventare il più tranquillo “CERCO RIPOSO” in un più libertino e goliardico “CERCO VINO E RIPOSO”.

Chi ne sia stato l’autore non è dato saperlo. Perché, di questa mia “scoperta”, non ebbi più modo di parlarne con Libero. E purtroppo non potrò più farlo, perché Libero, qualche giorno fa, è tragicamente scomparso in un incidente stradale, mentre da Perugia si stava recando verso la sua piccola casetta di Serra San Quirico.

Con lui se n’è purtroppo andato un altro pezzo della storia serrana. E questo piccolo racconto è il mio fiore, una sorta di ultimo commosso saluto.

Libero, spero che ti piaccia. Anche se forse, lui, avrebbe preferito un’altra sigaretta.

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11 risposte a Il mistero della lapide tra le due fonti. In ricordo di Libero Campodonico.

  1. Anonimo ha detto:

    Grazie Roberto per questo bellissimo articolo. Sono un parente di Libero tramite “zia Adelina” la mamma. Quando lui faceva il liceo a Fabriano andavo spesso ad aspettarlo al ritorno a casa sua, tra le due fonti, e mi piaceva leggere un libro che parlava di animali. Ho anche conosciuto Teodorico, ma purtroppo ricordo poco di lui. A proposito sono Luciano Brega, tuo ex collega.

    • robertonegro ha detto:

      Ciao Luciano!
      Che piacere rileggerti e ritrovarti, anche se solo virtualmente!
      Non sapevo della tua parentela con Libero.
      Un abbraccio e speriamo di rivederci presto.
      Roberto

  2. Anonimo ha detto:

    Buon giorno , ho letto questa storia, mi ha riportato a ricordi lontani. Confermo quello che diceva mio fratello Gilberto, a casa se ne parlava spesso in famiglia, mio padre era amico del noto avvocato. Non posso confermare oltre perché essendo più piccolo , quei discorsi li ascoltavo di sfuggita , avevo giochi da fare, ricordo che mio nonno Mazzoli Eugenio ne parlava spesso, ma non potrei aggiungere altro. A differenza di mio fratello Gilberto , non sono bravo in queste cose. L’amore per Serra è ugualmente vivo, ma la vita ti porta sempre da altre parti ,ho vissuto poco Serra è questo mi rattrista molto. A volte mi rifaccio leggendo i vostri racconti ( Ora non posso neanche più parlarne con Gilberto ) purtroppo. Grazie

  3. Anonimo ha detto:

    Bellissima storia, da serrano non la conoscevo, complimenti!
    R.i.p. LIBERO.

  4. Anonimo ha detto:

    Chi avrebbe mai immaginato di scovare attraverso le tue ricerche, l’esistenza di un Padre Redentorista, grande latinista, nato in un borgo alsaziano – di fatti non molto distante dalla mia città natìa. Mi hai dato modo di conoscere più in dettaglio la vita del Révérend Père François Xavier Reuss, molto devoto a Sant’Alfonso. Sono contenta di sapere che Padre Reuss riposa al Cimitero monumentale del Verano, ai piedi del monumento dei Redentoristi che porta una targa con la scritta “Initium Vera Vitae”. Una coincidenza: proprio oggi 13 Febbraio, ricorre l’anniversario della sua morte avvenuta il 13/02/1925. Eliane Rossini

    • robertonegro ha detto:

      Spesso, in queste piccole grandi storie, gli eventi fanno dei giri pazzeschi e poi, magari senza accorgercene, ce li ritroviamo intrecciati con le nostre vite…

  5. Anonimo ha detto:

    Mi chiamo Agostinelli Maria e sono la figlia di un cugino di Libero. L’ho conosciuto quando lui era un ragazzo di 25 anni. Ho conosciuto anche la sua mamma che era sorella di mio nonno.
    Sono molto dispiaciuta per quello che gli è accaduto e pur avendolo frequentato poco non riesco a capacitarmene. Ci eravamo sentiti circa un paio di mesi fa per una questione di albero genealogico e ci eravamo ripromessi di incontrarci. Lui, gioviale come sempre, era stato contento sia per l’incontro che per la telefonata: incontro che purtroppo non ci sarà.

  6. Anonimo ha detto:

    Grazie

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