Sei di Serra se… ce l’hai nel cuore.


Su Facebook è la moda degli ultimi giorni. Sebbene l’idea non sia proprio nuova (visto che gira sui social già da qualche tempo, ma va a capire gli arcani meccanismi di questo mondo virtuale…), è solo nelle ultime ore che si è trasformata in un vero e proprio fenomeno virale che in Italia pare non stia risparmiando nessuno. Neanche Serra San Quirico.
La rivincita della sterminata provincia italiana, l’hanno definita.

SeiDiSerraSe

La pagina del gruppo Facebook “Sei di Serra se…”

Tutto comincia con l’invito ad un gruppo, quello del paese dove sei nato e cresciuto. E il meccanismo è semplicissimo: “Sei di Serra se…”, e il resto lo aggiungi tu, così come ti viene in mente. Una volta dentro, infatti, inizi a scorrere l’elenco dei post pubblicati dagli altri prima di te. E, leggendo, cominciano irrefrenabili i click sui “mi piace”, perché ogni singolo post ti ricorda un frammento della tua infanzia, della tua adolescenza, della tua giovinezza. Insomma un pezzetto di quegli anni che furono e che oggi non ci sono più.
Ed è a quel punto che, mentre leggi tra l’assorto e il nostalgico, ti viene in mente quel gioco che da piccolo facevi sotto e Logge con i tuoi amichetti o quel personaggio strano che a quei tempi vagava per le strade di Serra gridando «tubi, tubi, cannelle, rubinetti, vasche da bagno… tutturù tutturù…».
E scopri che nessuno ne ha ancora parlato e allora ci pensi tu.
Nel giro di pochi minuti, la tua chicca riceve i primi “mi piace” da parte di chi, nella piazza virtuale, condivide quella tua istantanea di vita, di coloro a cui quel dettaglio era noto, ma sepolto, dormiente, da qualche parte nella memoria. E arriva il turno di chi, commentando il tuo post, aggiunge altre sfaccettature al tuo ricordo, un aneddoto, il proprio punto di vista.
E a quel punto sei finito: cominci a ricordare (e a pubblicare) qualsiasi cosa. A valanga.

Qui, all’ombra del Monte Murano, ci ha pensato Gloria Latini a fare da “untore”, inoculando il virus sabato scorso. Ha cominciato omaggiando lo storico calzolaio serrano con un «Sei di Serra se… hai portato almeno una volta ad aggiustare le scarpe da Scimicche!» e da lì è stato un rimbalzare continuo di ricordi.
Ora, a distanza di quattro giorni, il gruppo conta più di 420 membri e altrettanti “Sei di Serra se…” condivisi. Considerando che stiam parlando di un paesino che a malapena arriva a 3.000 abitanti, non è una cosa da poco.
Giusto per fare un confronto, a Fabriano la cosa non è riuscita a decollare e oggi, dopo una decina di giorni dalla sua creazione, l’equivalente gruppo non arriva neanche a 60 membri. Jesi è messa pure peggio. Ancona ha un gruppo di 3.000 membri, ma, considerando la sua popolazione, parliamo di appena il 3% del totale (rispetto a quasi il 15% di Serra). Con l’eccezione di Genga, per il momento qui in zona sono tutti al palo.
Insomma, qui a Serra siamo su numeri da record.

E, scorrendo la pagina, ci si rende subito conto che il contributo è trans-generazionale.
Ci sono scene di vita dell’altro ieri, descritte dai poco più che 20enni, e film in bianco e nero condivisi da 60enni.
Ma, in ogni caso, sono quasi tutti invariabilmente souvenir dell’era pre-digitale. Quando ancora internet era, al massimo, una fantasia da libro di fantascienza, quando i numeri di telefono erano quelli fissi e ce li ricordavamo a memoria, quando ci si incontrava per strada per giocare o chiacchierare e non dietro ad uno schermo di un pc o di uno smartphone e non c’erano i nickname ma i soprannomi (tipo… u turcu, a lecca, saltarello, squalo, l’messicano, piripisse, u mufficu, piedi de ferro, il pazzo, rosico’, spizzichi’, sardella, inciulì, u pesciarolo, u libicu, u saracenu, bistecca, palletta, baracchittu, fiezza, spaccamontagna, campano’, ballino, a ruspa,…); quando agli alimentari, se eri nu munello, non ti davano gli spicci come resto, ma una manciata di caramelle…

Contribuiscono i residenti, ma è attivo anche un nutrito gruppo di “serrani nel mondo” (gli expats, come verrebbero indicati in inglese) o comunque, più in generale, di coloro che a Serra per diversi motivi (familiari o professionali) non ci vivono più da anni, i quali commentano e condividono con tutta la nostalgia di chi, il paesello, non lo vive in prima persona da un bel po’. E, ovviamente, non possono fare a meno di ricordare quant’è buono il rollo e lu vi’, la crescia e l’aria bona e magari concludono scrivendo che «sei di Serra se… non ci stai più e quando ce pensi te vene da piagne». Struggente.

A leggere i vari post, si entra subito in una sequenza di figure umane che farebbero invidia anche alla più fervida fantasia di uno sceneggiatore. Gente al limite dell’assurdo, veri e propri personaggi che non hanno necessità di mettersi in cerca di un autore, perché ci ha già pensato la realtà a renderli veri. E a fissarli indelebili nel ricordo di tanti serrani.

Nella categoria più gettonata, ovviamente, vi sono i rappresentanti del clero. In primis Don Elvio Scipioni, da tutti conosciuto come Don E’, da alcuni ricordato per il celebre incipit delle sue omelie («Carissssimi fratelli…»), da altri per i suoi buffetti (che qualcuno chiama per quello che probabilmente dovevano essere, cioè ceffoni) che puntualmente partivano se non te ne stavi zitto e buono al Cinema (che poi, prima te li dava e solo dopo ti diceva «attenti, che ti do due ceffoni!»). Insomma, un prete d’altri tempi, quasi uscito dalle pagine di Guareschi, con cui potevi giocare a boccette oppure a briscola e a tressette. E sono in tanti a riportare in vita quei pomeriggi passati sulle scalette della “sua” chiesa o giocando a pallo’ nei tornei giù du prete.

SQUADRA

Foto-ricordo di una squadra di calcio durante uno dei tornei di pallo’…
[Proprietà Massimiliano Venturi]

A ruota, senza seguire un preciso ordine cronologico, sfilano a turno sul palcoscenico della reminiscenza gli amene di Don Giuseppe Mattiacci, le scampagnate con Don Decio e i quasi 10 bambini ficcati dentro la sua 500, i campi-scuola con Don Mauro, e poi Don Gherardo, Don Quinto, suor Rita, Don Ildefonso con la sua fisarmonica e i tanti silvestrini, e tutte e monniche dell’asilo (e spesso, finiva che «te ce mannavano a stirà e pocce a e monniche»), la Vicarietta e Suor Filippina in cucina…

Un tourbillon di umanità che quasi tramortisce. Continui salti temporali, avanti e indietro di decenni e poi di nuovo avanti e di nuovo indietro.
E si riportano alla luce la grande Elia Lucarini e i suoi racconti di staffetta partigiana, il mitico Ferre’, che guidava la corriera (nota come “la caffettiera”) e che con la corriera ci parlava, specie quando il pesante e goffo automezzo doveva affrontare qualche curva impegnativa, le partite a carte con il ventriloquo Duilio Urbani o a biliardino con Galdino Giansanti…
E chi si ricorda di Berto? E poi Peppe de Scarabotti con la 127 rustica o Mardoc che invece la 127, bianca, la guidava con la testa fuori dal finestrino. E Primo de Bocci (che t’apostrofava scorregio’) e Bruno Romagnoli (con la sua Taunus, con stecca di Marlboro sul cruscotto e pallone SuperTele incastrato dietro, nel lunotto posteriore), Rosoli’ de Goffredo (che ai più piccoli metteva anche un po’ paura), Lore’ e la sua banda musicale, donna Elena che passeggiava in piazza con i suoi cappelli d’avanguardia, Guerrino de Ciocciu (che ti diceva «sta zitto quando parli!»), Nunziata (a cui chiedevi di comprare le medicine da Jesi), Mario Tinti, Quinto de Meo, Virus e Scighella, Vince de Pero’.
E mentre leggi ti ritrovi di nuovo con Flavio de Cotica urlando a squarciagola per l’ennesima volta il tormentone calcistico Serra, Serra, Serra… oh, oh, oooooh.
E poi personaggi severi e inflessibili come Milio la Guardia (e la inevitabile multa giù pe la corta de Raschio’) e il maresciallo Venezia (il cui nome qui a Serra non evocava mai affascinanti vedute con gondole e canali, ma terrore e verbali a raffica, specie per chi andava in giro col motorino truccato o senza casco… in pratica tutti).
A malapena riprendi fiato ed ecco che davanti agli occhi ti passano le punture di Zelinda e il Dott. Branchini, Anse’ che nel vicolo chiedeva una sbirciatina alle ragazze farfugliando «gamme, gamme…» e Peppe Matto, il grande Radio e suo fratello Giuseppe Ripanti, la musica degli Agorà, Nannì de Tiroli, Dino de Lucari’ e la sua multipla…
E poi Claudio Pasquini, il centravanti della Serrana con le sue indimentcabili rovesciate, e le maestre Norma, Rosaria, Elisabetta, Mara, Pacinella, Elviretta e Deanna, la maestra Bini con la 128 azzurra e la bacchetta sbattuta sulla cattedra, le mitiche bidelle Iva e Rita…

ELIA

Elia Lucarini intervistata da Marina Ortolani
alla XXX Rassegna Nazionale del Teatro della Scuola.
[Foto postata da Fausto Orazi]

E quando pensi di essere uscito dalla galleria dei ritratti, ecco che arriva il turno dei negozi che c’erano e che oggi non ci sono più, attorno ai quali si svolgeva la vita del paese. Quando si andava a comprare l’ovetto da Adua, la pizza bianca con cipolla e cedrata da Ugo de Pero’, le sigarette da Peppe de Zampetti, le figurine da Jolanda a pummidora, il sottotacco da Scimicche (senza disdegnare con un’occhiata furtiva quello che era appeso alle sue spalle…), il gelato con il cono wafer da Elda dietro al campo sportivo (dove ora ci son le Poste) e la pizza calla calla di Cesare, il latte fresco da Bastiano’ (sfidando il ponte di legno che, sospeso sul fiume, grullava da far paura), la carne da Gino de Palame’, i bar de Sassetto e de Argia Cavalieri, e poi quello de Armandi’ (con la terrazza e il jukebox che sparava le canzoni di Padre Cionfoli e di Riccardo Fogli), gli orecchini da Giancarlo Bordi (con i dolorosissimi buchi fatti di nascosto, dalla levatrice), il filo da pesca e i piombi da Tubiolo, la frutta da Walter, il taglio dei capelli da Filiberto, la spesa da Livio e Giannina (immancabilmente con il fazzoletto in testa), e poi Bruno de Montesi, quando ancora le televisioni si potevano riparare e da Felice, non per mangiare ma quando ancora vendeva le lampadine, la miscela al 2% da Peppe il benzinaro o lì da Fratta, le scarpe su da Maria de Ernesto, i giocattoli da Bruno de Clorinda, la pizzeria de Ivano de Borgio’ e i calcioni da Gino de Pero’ e da Duilio pe’ fa’ nu telegramma o telefona’ e poi c’era Gino de Birillo’ (che, tra l’altro, era fratello della nonna di mia moglie) e poi, e poi e poi…

PIAZZA

Piazza della Libertà, una mattina di fine anni ’50…
(cartolina b/n con acquarellatura)
[Collezione privata R.Negro]

Come diapositive, scorrono uno dietro l’altro i luoghi che non ci sono più (fisicamente o comunque come parte integrante della vita dei serrani), come u scorticu (il macello) e Ulisse che lì di fronte coltivava il suo orticello, il tirassegno e a pesa de Mancinellu con dietro i vespasiani, le scuole medie giù ‘l Colle e la Sagra della Trippa, le Feste dell’Unità a Sant’Elena (a cui tanti si presentavano non per fede politica, ma non perdere l’occasione di assaggiare i leggendari spaghetti con la trota), la casa del casellante lì u passaggio a livello che porta da Vara’ e u Teatro di Santa Maria del Mercato (quando ancora lì dentro si ballava o si andava ad ascoltare il concerto di Tony Dallara), il palazzo de Vallema’ infestato dai fantasmi, la farmacia giù pel Corso e le feste di carnevale al K3, la Fornace e le scalette del Colle, il Jolly Club e le partite a ping pong, i film d’inverno al Cinema Cruciani…

CasaCantoniera

La Casa del Casellante, demolita anni fa.
(prova di stampa delle FF.SS. per una cartolina, mai edita)
[Collezione privata R.Negro]

Quella del ricordo, dell’attingere a piene mani dal proprio passato non è una regola scritta in questo gruppo. In altre parole, nessuno proibisce di parlare di cosa accomuna i serrani oggi. Ma i post di “attualità”, se così li vogliam chiamare, sono come mosche bianche. Anzi, sembrano quasi stonare. Non è dell’oggi che i serrani vogliono parlare. E’ il momento dell’amarcord.

Quando non c’era la playstation e guardare la televisione era una tortura (per chi invece era abituato a vivere per strada, con ginocchia perennemente sbucciate e la mamma che te menava quando a casa rientravi tardi, sporco e sudato), si giocava a cerbottane su u Torrio’ oppure a puje in piazza o a nascondino (magari lì e Pile dietro u palazzacciu de Ngiulì de Mazzolu’) o a campana o con l’elastico tra i vicoli affolati del centro storico, ai quattro cantoni, a un due tre stella o a battimuro sotto e Logge, a pallo’ sulle scuole (rompendo ovviamente i vetri).

POPOLO

Il Corso del Popolo in una cartolina di fine anni ’50…
[Collezione privata R.Negro]

E ti ricordi di quando la Rassegna del Teatro della Scuola era ai suoi primi anni ed era un evento che coinvolgeva tutti i serrani, con decine e decine di ragazzi che affollavano l’ostello di Santa Lucia (‘e scole vecchie) e si passavano le serate a far casino fino a notte e a tessere amicizie con i giovani ospiti provenienti da ogni dove.
E con la fidanzata ci si andava a nfratta’ là l’acquedotto o a spomicia’ là Piedaspri, ma anche su u pratu tonnu

E sono in tanti, tantissimi a ricordare quelle estati, quando «non vedevi l’ora che finiva la scola» per poter rivedere gli amici romani che venivano in vacanza a Serra. Quando le estati duravano quasi tre mesi e sembravano non finire mai, ma che poi, alla fine, volavano via sempre troppo veloci. Quando ancora si potevano pescare i gamberi giù pe u fiume. Quando da piccoli si andava in colonia con i vecchi pulmini (guidati dai vari Gilberto, Mario, Giulio, …) e la temperatura superava abbondantemente i 40°, e si facevano i bagni là ‘l cati’ e si costruivano i biroccetti e si andava San Bartolo a vedere le stelle cadenti o a magna’ su u monte o a ballare sulla Pianella.

PIANELLA

Il Dancing della Pianella ai suoi albori…
[Collezione privata R.Negro]

E passavi ore su ore seduto ai giardini del Monumento, ma soprattutto al muretto della fonte de Mancinellu, dove, prima o poi, ci venivi buttato dentro (o, se t’andava bene, rimanevi vittima di un improvviso gavettone). E se te la scampavi lì, alla fine il bagno ti toccava farlo nella Fontana de Piazza a ferragosto.

Ma a qualcuno, ad un certo punto, il dubbio è venuto. «Ok l’amarcord… Ma il futuro? Chi parla del futuro? Sei de Serra se abbandoni l’immobilismo e vai avanti». Un altro ha aggiunto: «…pensate se, come una volta, voi tutti usciste a spasso per la vostra Serra, tutti assieme, a darle ancora un po’ di vita e di speranza…».
Ed è proprio partendo da quel ricordo di Mancinello così affollato di ragazzi, a tal punto «che non si trovava posto per sedersi da nessuna parte», che qualcuno è andato oltre il meccanismo della conoscenza condivisa e del senso di appartenenza un po’ autoreferenziale e ha provato a lanciare l’idea di organizzare qualcosa, di tornare lì da Mancinello, per riappropriarsi di quei luoghi tanto cari nell’anima, ma che in fondo non sono mai scomparsi del tutto. Serra è ancora qui. Ed è molto complicato capire quanto è cambiata e quanto siamo cambiati noi.

«Sei di Serra se… quando avevi 16/17 anni non vedevi l’ora di prendere la patente per andare via da questo paese e ora ti sei sposato e fatto famiglia qui e vorresti far rinascere Serra». Grande!
Certo, qualcuno lo ha anche scritto: «Sei de Serra se c’hai sempre qualchicco’ che non te sta be’»…

Ora, se avessi la macchina del tempo, farei volentieri un salto qui tra cinquant’anni. Me li vedo, i futuri vecchiettini serrani, nel 2064, lì in un angolo a mugugnare che la Serra dei loro tempi sì che era tutta un’altra cosa. E magari, a qualcuno verrà in mente di aprire un gruppo su Facebook o su quello che ci sarà, scrivendo «Sei di Serra se… ti mettevi le orecchie da asino al Paese dei Balocchi… se alla Festa del Biscotto di Mosto volevi solo i biscotti fatti da Fede… se andavi da Angelo Sante Gonnella a fare la spesa e lo prendevi in giro per il suo forte accento barese… se capivi la metà di quello che Don Giuseppe, il prete indiano, diceva durante le messe… se hai fatto volare almeno una volta le lanterne illuminate durante il Natale dei Piccoli… se hai assistito al Gran Premio dei Carioli… se hai visto la commedia dialettale dei Ragazzi del Cruciani alla Festa del Patrono…».

Quindi? Boh, non lo so…

Ma, riconsiderando un po’ il tutto, non ho potuto fare a meno di pensare alla celebre frase pronunciata da JFK durante il suo discorso di insediamento. Non chiederti cosa il tuo paese può fare per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese. Parlava degli States, ma penso sia applicabile dappertutto.

Pensavo anche che se il metro con cui si misura quanto si è serrani è quello di contare in quanti dei «Sei di Serra se…» postati in queste ore ti riconosci, mi sa che non arrivo a dieci.
E’ evidente, non sono serrano.
Però, un paio di quei pochi in cui mi sono riconosciuto, li voglio condividere con voi.
E sono questi.

«Sei di Serra se… quando passi le gallerie e arrivi nei pressi della cava, pensi “finalmente sono a casa”».
E, per ultimo, quello di chi, preso da un afflato poetico, capisce che, in fondo, «Sei di Serra se… ce l’hai nel cuore».

Se ce l’hai nel cuore. E forse, tanto basta.

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16 risposte a Sei di Serra se… ce l’hai nel cuore.

  1. Anonimo ha detto:

    Sei di serra se il Venerdì e il Sabato santi andavi in giro per il paese a sonà la raganella perchè
    le campane erano legate.

    • robertonegro ha detto:

      Grazie Luciano Brega per aver condiviso questo tuo ricordo d’antan… 😉

      • Gianna Brocanelli ha detto:

        Ce semo dimenticati la trattoria de Orlando e Armida giu la Stazio, con nonno Costa detto “Castrigotto” che ce gia a fa’ na partitella a carte!!!!
        E pure il circoletto do se gia a pia’ un gelato e a guarda a gioca a bocce fino a dopo mezzanotte!!!

    • carlo63 ha detto:

      è mezzugiornooooooo!!!!
      ‘a messaaaaa!!! ‘a messa è a sanquirico pe’ a prima voltaaaaaaa!!!!!

    • BROCANELLI GIANNA ha detto:

      Molti ricordi di personaggi di Serra Stazione mancano:
      oltre mio nonno “Costa de Brocanello” detto Castrigotto (dal soprannome del padre Giovanni Brocanelli), vissuto sino a quasi novantasei anni da ricordare:
      – l’osteria del vino dei Pirolotto (al posto del Discount);
      – la bottega di stoffe di Ginesio ed Anna Piattella (dove ora c’è la farmacia).
      – il Concorsio de Velia Urbani e della madre Cesira Montesi dove i contadi comprava le sementi e dove io andavo a trova per amicizia e per studio, la figlia Anna Impiglia, insieme a Rossana Grassi, figlia de Rosoli,
      – la bottega d’alimentari de Maria e Aroldo Scarabotti e del fratello Lucio che portava il Camion, di fronte la stazio ferroviaria ed attaccata a casa mia dove stavo in affitto (ora adibita ad Ufficio) con la mia famiglia e dove giocavo con Giampiero e Maria Cristina Orazi.
      – la ferramenta de Mario e Rosita Amici nel palazzo del sor Gatti Eletto (dove ho abitato), che teneva un agenzia di assicurazio (padre del parroco Don Francesco Gatti ex professore di matematica), e marito della sig.ra Ida vissuta per più di novant’anni.
      , ;- il bar de Mario Orazi e la moglie…….., che vendeva i fumetti a noi ragazzi;
      – il postino Virgilio Brega (babbo di Paola Brega) che a piedi portava la posta a tutta Serra Stazio, con una borsa di cuoio.
      – la postina Fannie che sempre a piedi portava la posta, e moglie di Scortichini….. impiegato nell’ufficio postale.
      – Lo scopino Orazi (babbo di Fabio Orazi ) che portava via a piedi l’immondizia de tutta Serra Stazione.
      – Il tassista Lino Scarabotti (babbo de Gigi de Scarabotti il Geometra):
      – Il Capo stazione Bruno Santini (babbo di Argia e Gabriella), sempre presente al lavoro.
      – la pensione di Ferruccio Pandolfi (babbo di Noemi) e il suo locale di fronte (che non c’è più) dove si facevano i pranzi per i matrimoni).
      – per finire la Maestra Mantovani. Marcella, molto rigida con noi alunni di Serra Stazione.

      Mi ricordo infine che da Via Serralta, dove ho abitato sino all’eta di 4 anni circa, per andare alla Stazione, non essendo costruito l’attuale ponte sul Fiume Esino, c’era una passerella di Legno sul Fiume, (vicino alla casa della Famiglia di Tisba Gianfranca),

      Gianna Brocanelli

      • robertonegro ha detto:

        Grazie mille Gianna per aver condiviso tutti questi tuoi ricordi!
        E’ grazie a contributi come il tuo che la fugace reminiscenza personale – ahimè, destinata a perdersi insieme a noi – entra invece a far parte di una memoria condivisa, magari da consegnare alle prossime generazioni.

      • robertonegro ha detto:

        Chissà se qualcuno ha nei suoi cassetti una foto del vecchio ponte di legno…

  2. Gloria ha detto:

    Un pò commossa…grazie!

  3. Claudio Santori ha detto:

    Grazie Roberto. Io sono uno di quelli che Serra la vive da lontano, spesso illuminata dal tuo sguardo curioso, attento e premuroso. Grazie a te e a Gloria per avermi fatto fare una lacrimuccia.
    Vivo all’estero da un po’ ma stamattina, tra casa mia e l’ufficio, non ho fatto altro che pensare a cosa scrivere nel gruppo. E mi venivano in mente i focaracci, ‘e siepi du monumentu che non ci sono più, San Bartolo, u palettu sul Monte Murano, la banda, il mago che una volta ad una corrida ha fatto impazzire tutto il paese e tante tante altre cose.
    Grazie Serra

    • robertonegro ha detto:

      Beh, quando parlavo degli expats non ti nascondo che ho pensato principalmente a te! E mi ha fatto tanto sorridere quando, nel gruppo, qualche giorno fa, hai fatto ironia su come qui a Serra la frase “te l’ho dato” si pronunci “te lo datttto”…
      E, per un attimo, ho pensato al tuo Bliu Bliu con il serrano tra le lingue disponibili… 😉
      Un grosso saluto dalla tua Serra!
      R.

  4. eliane ha detto:

    Sei de serra se andavi a mangia’ il maritozzo colla nutella da rosoli’ seduta sul fustino del dash

  5. eliane ha detto:

    Mio zio Sassetto e mia nonna Argia sarebbero felici di vedere che siamo in tanti ad avere Serra nel cuore. Che sia solo un inizio !

  6. Pingback: Quer pasticciaccio brutto de l’Archivio serrano | Un, due, tre… Serra !!!

  7. Anonimo ha detto:

    siiii mmmm buonissimo

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